Quando il periodo si fa caldo, la tensione sale, gli italiani si preoccupano, riscoprono le compatibilità finanziarie e corrono a rivolgersi a mani sicure: tipicamente la Banca d’Italia. Nel 1975, la notizia dell’uscita di Guido Carli dal ruolo di governatore (lo è stato per quindici anni) ha grande risonanza. È il riconoscimento del ruolo della Banca d’Italia, accresciuto per la rapida e turbolenta espansione del sistema finanziario, ma anche per la indubbia autorevolezza.
Al governatore è attribuito un ruolo super partes, come paladino della stabilità finanziaria e portatore di una competenza tecnica spesso carente in altre parti della pubblica amministrazione. Sembrano caratteristiche ideali per gestire l’economia del paese – o, addirittura, per guidarne il governo – in periodi di elevata incertezza.
Il «Corriere della Sera» scrive (è il 1975): «ogni volta che, di fronte al ricorrere delle crisi politiche, si cominciava a parlare di governi tecnici, il suo nome era il primo ad essere citato». E il «New York Times»: «Il suo lavoro è stato quello di guardiano della lira. La sua importanza è tale da rappresentare l’incarnazione della credibilità finanziaria italiana, in un paese indebolito da costanti lotte politiche, lunghe crisi di leadership». Durante i suoi quindici anni come governatore. «Con i suoi esperti taciturni e tecnici occhialuti, la banca centrale è stata una delle poche istituzioni a lavorare come si deve ed è divenuta un punto focale della stabilità nazionale», in particolare considerando che «un anno fa il paese appariva sull’orlo della bancarotta. […] Gli stranieri a cui viene chiesto chi è l’uomo più forte in Italia, di solito dimenticano il nome del Premier e rispondono Guido Carli». Ciampi, Draghi: è il caso di dire, la storia si ripete.
Articolo tratto dal Libro “Destinazione Euro – Politica e finanza in Italia dal “miracolo” a Maastricht, 1957-1992” di Francesco Giordano.
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Destinazione Euro, Donzelli editore