Con la crisi valutaria dell’inizio degli anni settanta, crolla il sistema di Bretton Woods, che ha regolato i tassi di cambio dal dopoguerra.
Oltre al disordine sui mercati, entra in crisi un elemento “fondativo” nei rapporti tra i paesi del blocco occidentali, che ne ha sostenuto, con successo, l’integrazione commerciale e il rilancio economico: lo stesso progetto europeo – avviato nel 1957 – potrebbe uscirne profondamento danneggiato.
L’Europa reagisce: prende slancio l’idea di un più ambizioso accordo monetario tra i paesi europei. Già nel 1971, viene pubblicato il rapporto Werner, dal nome dal presidente del Lussemburgo che ne coordina la pubblicazione. Il rapporto contiene la futuristica raccomandazione di una unione monetaria tra i paesi della Comunità europea. In un momento di crisi e involuzione del sistema finanziario internazionale, la conclusione risulta allo stesso tempo radicale e presciente. Ad anni di distanza, sorprende la precisione con cui, sia pure con tempistiche troppo brevi, vengono identificati i passi che porteranno all’unione monetaria europea.
Nonostante difficoltà, involuzioni e battute d’arresto, la direzione di marcia resta imprescindibile; per un paese come l’Italia riveste un carattere esistenziale sia per la tenuta democratica che per le prospettive di sviluppo, in anni di incontenibile turbolenza politica e finanziaria: «Le vicende dei decenni più recenti – dice la Banca d’Italia nelle Considerazioni finali per il 1972 – hanno dato a quella che […] poteva apparire una visione utopistica un contenuto di urgenza, così che il raggiungimento dell’unificazione europea è considerato un evento indispensabile per la sopravvivenza stessa dei valori ai quali si ispirano gli ideali nazionali».
Articolo tratto dal Libro “Destinazione Euro – Politica e finanza in Italia dal “miracolo” a Maastricht, 1957-1992” di Francesco Giordano.
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Destinazione Euro, Donzelli editore