Siamo nel 1974: a poche settimane dalla crisi del greggio, L’Espresso scrive un articolo dal titolo Se muore l’automobile: la marcia indietro, in cui, forse prematuramente, prefigura una nuova realtà popolata da moltitudini di cittadini ciclisti o addirittura appiedati. «Fino a ieri avevamo provato a crescere e svilupparci in termini di reddito puntando sull’automobile. L’odio improvviso per l’automobile è scoppiato proprio mentre i sindacati dei metalmeccanici, che rappresentano un milione e mezzo di lavoratori (quasi il 10% di quelli che in Italia fanno qualcosa), stavano trattando con la Fiat l’impianto di nuovi stabilimenti di automobili per dare lavoro ad alcune decine di migliaia di disoccupati.

La macchina, oggi semiproibita, è stata in questo dopoguerra il razzo al quale ci siamo attaccati per uscire dal sottosviluppo». Dal 1959, in 13 anni il reddito nazionale è aumentato 1,9 volte (cioè non si è nemmeno raddoppiato), la circolazione delle automobili è salita di 7,5 volte. «Non c’è da meravigliarsi che abbia invaso tutta la nostra società. Non stupisce che sia diventata un problema, una specie di maledizione». In quegli stessi anni, la Fiat è passata da meno di 100 000 dipendenti a oltre 200 000.

Già un paio di anni dopo, la Fiat dichiara: «Il futuro dell’auto è incerto»; per tale ragione, ha appena raggiunto un accordo con i sindacati, che le consente un adeguamento «automatico della sua produzione alle richieste di mercato». Molti degli oneri ricadono sullo Stato: sono 70 000 gli operai in cassa integrazione nell’ottobre del 1974. Da allora, in realtà, l’automobile – con alti e bassi – attraversa decenni gloriosi. Ma le perplessità di allora mostrano oggi, nuovamente, una notevole rilevanza. 

Articolo tratto dal Libro “Destinazione Euro – Politica e finanza in Italia dal “miracolo” a Maastricht, 1957-1992” di Francesco Giordano.

Leggi di più su: https://bit.ly/destinazione-euro 

Destinazione Euro, Donzelli editore

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