Nel 1974, scoppia a Genova lo scandalo petroli. Proprio mentre i cittadini sono al freddo e le domeniche si sta senz’auto per l’improvviso, enorme rincaro del greggio, i petrolieri imboscano le riserve per speculare sul rialzo. Ma scavando, l’inchiesta non si ferma lì: procedendo nelle indagini, i giudici evidenziano altre e più gravi violazioni.
In particolare, viene alla luce un sistema, gestito dall’organizzazione di categoria dei petrolieri, che prevede scelte normative favorevoli agli operatori del settore (per esempio scelte di politica energetica convenienti per i petrolieri) in cambio del pagamento, sistematico e reiterato da molti anni, di tangenti ai partiti di governo. Sembrerebbero coinvolti anche alcuni ministri in carica.
La maggioranza di governo, a guida democristiana, decide di approvare in gran fretta una legge che, se da una parte introduce il reato di finanziamento illecito ai partiti, dall’altro vara la distribuzione di fondi statali in loro favore: è un approccio che sottintende una visione autoassolutoria, nella quale i fondi pubblici dovrebbero sostituirsi – ma finiranno per aggiungersi – ai copiosi finanziamenti illeciti che giungono ai partiti da varie fonti, non ultime le imprese a partecipazione statale.
I reati contestati ai petrolieri risultano particolarmente odiosi a una pubblica opinione che, negli stessi mesi, è costretta a confrontarsi con il rincaro dell’energia e con le dirompenti ricadute economiche e occupazionali. Il «Corriere della Sera» riporta la reazione popolare intorno alla vicenda: «L’azione dei pretori sulla vicenda del petrolio è stata seguita con molto favore da tante persone per […] il desiderio di riportare la nostra democrazia in un clima pulito ed onesto» (era il 1974: cinquant’anni e non sentirli…).