Sindona e la Mediobanca di Cuccia: papocchietti e minacce

(Articolo tratto dal Libro “Il metodo Sindona – Splendore e crollo di un banchiere che si fa assassino”).

Sindona vuole disperatamente salvare il suo impero finanziario dalla bancarotta. È un’ambizione temeraria: il tracollo è colossale, multinazionale e dai contorni oscuri. Nel suo modo di pensare, Enrico Cuccia, il potente capo di Mediobanca – la banca al centro dell’establishment finanziario italiano – è il solo che può aiutarlo. Cuccia (com’è ovvio) si defila: le soluzioni che Sindona propone? «Nient’altro che papocchietti, garbugli che non stanno né in cielo, né in terra». Con inviti minacciosi, Sindona lo convince a volare a New York.

Il 10 aprile 1979 i due si incontrano al Regency Hotel, presenti il genero e l’avvocato. Sindona esordisce con le sue rimostranze, parla di un complotto ordito da Mediobanca contro di lui. La conversazione langue e rapidamente l’incontro giunge al termine. Nell’accomiatarsi, Sindona dice: «Noi abbiamo due cose in comune, uno sprezzo del pericolo e un vivo amore per la famiglia». La famiglia … da rabbrividire. I due si rivedono, questa volta da soli, il giorno dopo. E l’incontro prende subito una piega macabra.

Dagli appunti di Cuccia: «Il discorso a quattr’occhi fu allucinante […] Sindona dice che deve fare un discorso molto duro e chiede di non interromperlo. […] Dopo il crack Sindona si preoccupò di attuare una serie di prese di contatto con le comunità italiane negli Stati Uniti […]: e a seguito fui dichiarato “miserabile”, termine applicato a quelli che la mafia condannava a morte; nel frattempo la mafia aveva completato le informazioni sui miei figli: aveva fatto seguire con una macchina una delle mie figliole e accertato che mio figlio si era trasferito in Germania. Sindona aveva poi dichiarato che io potevo essergli più utile da vivo che non da morto e aveva fatto sospendere iniziative specifiche nei miei confronti. Invece riteneva di doversi assumere la responsabilità morale di far scomparire Ambrosoli».

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