Cattedrali (e ponti) nel deserto, parte 1

Quando si progetta una grande opera, sarebbe utile – o forse necessario – interrogarsi su cosa c’è intorno.

Un’opera circondata da un deserto, ma pianificata per un giardino, si rivelerà presto inutile, destinata ad un doloroso decadimento. Per dire: per un avveniristico ponte su uno stretto si dovrà valutare la qualità delle strade che lo precedono e che lo seguono. Se sono da migliorare, avrebbe senso farlo prima di imbarcarsi in una complicatissima costruzione. Guardiamo l’esempio – sempre in Calabria – al caso del polo siderurgico. La siderurgia era già un settore in crisi: nel 1972 è da lì che origina la metà della perdita del conglomerato dell’industria pubblica Iri. Eppure proprio qui si pianifica in quegli anni un’imponente espansione produttiva: la costruzione del quinto centro siderurgico italiano. L’idea nasce da una direttiva politica – l’Iri la recepisce evidentemente contro voglia.

Si prevede un investimento di straordinaria portata. All’interno della regione viene individuata l’area della piana di Gioia Tauro. È sintomatico come persino la paludata relazione per il Parlamento mostri la malcelata ritrosia degli stessi organi direttivi dell’Iri: nell’eseguire il progetto si dovranno ricercare le soluzioni più adatte per «contenere le incidenze negative sulla situazione ecologica, nonché sulle attività agricole e turistiche della zona». Viste le difficoltà, l’Iri batte cassa, chiede in anticipo che vengano coperte le perdite che, senza dubbio, ne origineranno: «restano […] da definire le agevolazioni da concedere all’iniziativa, le quali dovranno essere adeguate agli oneri ubicazionali, inclusi i maggiori costi di costruzione causati dalla alta sismicità della zona prescelta».

“Oneri ubicazionali” in squisito burocratese vintage vuol dire quelle enormi spese a carico della collettività provocate dalla mancanza delle infrastrutture necessarie per un simile insediamento: vi ricorda qualcosa?

L’Iri conclude “Grave pregiudizio potrà venire alla messa in cantiere dello stabilimento se non si intraprendono, da parte della pubblica amministrazione, le opere infrastrutturali: sono ancora da avviare la costruzione del porto, l’invaso per l’acqua dolce e tutti gli sbancamenti per l’apprestamento dell’area”. Insomma, non c’è nulla e, oltre ai costi faraonici, i danni all’ambiente rischiano di essere devastanti. E, non dimentichiamo, gli occupati previsti, originariamente 15000, nel piano del 1971 sono già scesi a 7500. (segue)

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