Cianuro a colazione: Sindona nel carcere di Voghera
(Articolo tratto dal Libro “Il metodo Sindona – Splendore e crollo di un banchiere che si fa assassino”).
Il 20 marzo 1986, in isolamento nella cella del carcere di Voghera, guardato a vista, durante la colazione con la tazzina di caffè in mano, Michele Sindona dice alla guardia che vuole andare in bagno. È l’unico punto in cui le telecamere lo lasciano solo. Dopo una manciata di secondi, la guardia si preoccupa, apre e trova Sindona dolorante. “Mi hanno avvelenato” sono le sue ultime parole; morirà due giorni dopo all’ospedale, senza aver ripreso conoscenza.
Omicidio o suicidio? Enorme la risonanza sulla stampa, il mondo si divide tra chi sposa una tesi e chi l’altra. Alcuni fatti: le perizie mostrano che la tazzina contiene tracce di cianuro; ma le verifiche sul thermos con cui viene portato il caffè dalle cucine del carcere non danno riscontri: è stato lavato con acqua calda. Nulla di strano però: è prassi che venga ripulito dopo l’utilizzo. Vi è comunque qualche traccia di caffè, ma nessuna di cianuro. In sommo burocratese, la perizia dice: “Sussistevano dati che facevano propendere per la tesi di un evento suicidario a fronte di quello di un veneficio”. Bizzarra ma, a modo suo, efficace l’iniziativa dei periti. Affermano che nessuno può essere tratto in inganno nel bere un caffè con il cianuro; al contrario della stricnina (quella, per la cronaca, usata per Pisciotta) che è insapore, il cianuro è sgradevole, con un odore pungente che sarebbe subito sospetto, specialmente in una bevanda bollente, ingerita a piccoli sorsi.
Per suffragare la teoria, chiedono al bar del palazzo di giustizia di portare cinque caffè. In uno versano una dose non mortale di cianuro, poi chiamano l’ignaro maresciallo che sta di guardia nell’anticamera e, con la scusa che avevano portato un caffè in più, glielo offrono (pronti, si può sperare, a impedirgli di berlo se lo avvicinasse alle labbra). Il maresciallo, timido e zelante, esita, arrossisce nel timore di apparire sgarbato, ma appena avvicina la tazzina alla bocca sbotta: il caffè, dice tutto d’un fiato, è imbevibile, emana una puzza insopportabile. Sorrisi e pacche sulle spalle dai suoi commensali. Con il che, almeno lui, sopravvive: quod est demonstrandum.
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@donzellieditore

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