All’inizio degli anni settanta scoppia la crisi valutaria: il sistema che ha regolato i cambi dal dopoguerra, va in frantumi, volatilità e incertezza prevalgono.
In prima linea vengono a trovarsi le economie più vulnerabili, tra cui l’Italia: a metà del 1972 si intensificano le pressioni al ribasso sulla lira. Le istituzioni italiane appaiono impreparate, costrette a inseguire le emergenze, manca un approccio condiviso e sistematico. L’economia italiana ne subisce le ricadute in un periodo di equilibri politici instabili, che rendono incerta la risposta e ancora più vulnerabile la valuta.
La crisi richiederà, a più riprese, nel 1973, nel 1974 e poi ancora nel 1976, interventi economici di emergenza – aggressivi, anche se dosati con attenzione nel timore di minacciare la tenuta sociale del paese – da parte di governi tanto più instabili quanto desiderosi di consolidare il proprio consenso.
Nei momenti di ritrovata stabilità non si mettono in piedi elementi correttivi dei principali squilibri, come le forti spinte inflazionistiche: si creano quindi i presupposti per le crisi successive. L’Italia sembra allontanarsi da ogni concreta possibilità di maggiore integrazione europea. Sull’orlo del tracollo finanziario, dovrà ricorrere nel 1974 – e poi ancora nel 1977 – a prestiti internazionali del Fondo monetario e dalla Comunità europea per evitare il collasso della moneta (ai prestiti, contratti in emergenza, sono associate pesanti condizioni, che impongono rilevanti sacrifici agli italiani). Una lezione che rimane: le crisi finanziarie bisogna prevenirle, definire ex ante regole e interventi e stringere accordi internazionali prima che avvengano. Volgere lo sguardo altrove, magari adducendo un malposto orgoglio nazionale, peggiora gli scenari se e quando la crisi insorge.
Articolo tratto dal Libro “Destinazione Euro – Politica e finanza in Italia dal “miracolo” a Maastricht, 1957-1992” di Francesco Giordano.
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Destinazione Euro, Donzelli editore
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