Entro? Non entro? E se entro, ma resto pure un po’ fuori? Oppure, dai, entro? È tormentato l’ingresso della lira nel Sistema monetario europeo (Sme) nel 1979 – accordo valutario non troppo stringente, lontano antesignano della moneta unica: dopo le pesantissime crisi valutarie degli anni settanta – con fluttuazione dei cambi che appaiono del tutto fuori controllo e forti danni alle economie coinvolte – in Europa si opta per un ritorno a un sistema di cambi regolati all’interno della Comunità europea (ormai limitato a quel che resta del «serpente monetario», che include solo Germania, Benelux e Danimarca).

È un progresso che appare inevitabile dato l’elevato interscambio commerciale e i passi in corso per un’ulteriore integrazione, che si vorrebbe estendere al settore finanziario. La decisione giunge al termine di una tormentata negoziazione e dopo alcuni ritardi, causati, tra l’altro, da forti polemiche tra i paesi per i possibili impatti sulla politica agricola. Gli accordi valutari assumono particolare importanza per l’Italia, la più debole delle economie, dove è ancora fresca la memoria delle ripetute crisi dei cambi e dei pesanti attacchi alla lira, con la perdita quasi totale delle riserve valutarie e la chiusura forzata dei mercati.

Considerata l’elevata inflazione e la relativa debolezza del dollaro, l’ingresso della lira nel nuovo meccanismo non è privo di rischi. Per tali ragioni, in un’inziale presa di posizione da parte del governo, si prospetta per l’Italia di restare fuori dai nuovi accordi, almeno nella prima fase. Appare rapidamente chiaro, tuttavia, che si tratta di un difficile dilemma: per l’Italia, uno dei paesi fondatori della Cee, non è agevole escludersi da una così importante evoluzione. Il ritardato ingresso potrebbe indebolire il peso negoziale del paese sui temi valutari e su altre discussioni in corso all’interno della Comunità.

Tra l’altro, un importante documento programmatico presentato del ministro del Tesoro Pandolfi un paio di mesi prima (redatto in large parte dai tecnici della Banca d’Italia) individuava nella partecipazione ai nuovi progetti di integrazione monetaria una priorità strategica, in quanto la scelta europeista avrebbe reso necessaria, e quindi accelerato, una serie di urgenti riforme imposte dal «vincolo di convergenza»: «La strada che ci conduce in Europa è la stessa che ci porta verso gli obiettivi di sviluppo nella stabilità». Alla fine si sceglierà di entrare, all’ultimo momento, senza quindi una piena discussione.

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