Entro? Non entro? La dimensione per molti versi esistenziale della scelta se entrare nel sistema monetario europeo (nel 1979, debole antesignano della moneta unica) è chiaramente espressa da La Malfa – autorevole rappresentante del partito repubblicano e più volte ministro – che minaccia l’uscita del suo partito dalla coalizione di governo se la mancata adesione fosse confermata: «L’Italia, che a stento rimane compresa nel novero dei paesi industriali dell’Occidente … non sceglie in questi giorni se appartenere o meno a un meccanismo valutario o a un’area di stabilità dei cambi; sceglie se recidere o meno i suoi legami con i paesi dell’Europa occidentale sul terreno economico e sul terreno politico».

Sia come sia, il governo – inizialmente titubante – cambia improvvisamente idea e decide a favore dell’ingresso della lira nello Sme, che viene comunicata pochi giorni dopo il vertice europeo dei capi di Stato. Il cambio di direzione giunge a seguito di un incontro bilaterale, tenuto a Siena ai primi di novembre tra il presidente del consiglio in carica Andreotti e il cancelliere Schmidt, in cui il premier tedesco avrebbe indicato i rischi per l’Italia di restare fuori da un accordo che sanciva la ripresa del processo di integrazione europea.

Un rientro successivo in corsa avrebbe presentato crescenti difficoltà. L’incontro tra Andreotti e Schmidt è l’ultima occasione ufficiale di confronto diretto tra i due capi di governo prima della riunione del Consiglio d’Europa che, a inizio dicembre, dovrebbe decidere sul nuovo accordo valutario europeo. I giornali commentano che, pur trattandosi di un incontro di routine, a nessuno sfugge la delicatezza: l’Italia ha già comunicato l’intenzione «politica» di partecipare all’iniziativa, ma manca l’accordo su tempi e meccanismi.

I giornali volgono al pessimismo (il Corriere della Sera titola: “In alto mare l’ingresso dell’Italia nello Sme). Come riportato in una testimonianza dal consigliere diplomatico di Andreotti, il cancelliere tedesco avrebbe affermato: «I paesi che rifiutano lo Sme sprofonderanno in una posizione di secondo rango della Comunità europea. Se l’Italia lo rifiuterà, diventerà come la Grecia o la Turchia». Andreotti avrebbe risposto che, come paese fondatore, la costruzione europea rappresentava per l’Italia «la massima priorità, ma voleva uno Sme che rafforzasse e non dividesse la Comunità». In una decisione che provoca polemiche, perché presa in corsa senza coinvolgere i partiti alleati di governo, l’Italia decide infine di entrare nello SME.

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