L’integrazione europea subisce un’accelerazione nella seconda metà degli anni ottanta. L’impeto proviene da una ritrovata intesa tra Germania e Francia – promossa dai due capi di Stato, il cristiano-democratico Kohl e il socialista Mitterrand – sotto la guida del presidente della Commissione europea Jacques Delors. Nello stesso periodo, i governi di Stati Uniti e Inghilterra portano avanti un profondo cambiamento politico e culturale, con slogan battaglieri e riforme aggressive, allo scopo di liberare le forze di mercato, allargare il perimetro dell’iniziativa privata.

Reagan e Thatcher promuovono con zelo un sovvertimento che si estende ben oltre l’ambito strettamente economico: si smantellano molte delle protezioni sociali e del lavoro, si indeboliscono i sindacati, si riducono i servizi ai cittadini. Alcuni elementi del nuovo clima filtrano anche in ambito europeo: vengono ribadite le limitazioni agli aiuti di Stato e rafforzate le misure volte a stimolare la competizione interna. Nei vari paesi, ha inizio un processo di privatizzazione che coinvolge non solo le imprese di Stato in settori industriali, ma in molti casi anche i servizi pubblici.

In Europa, tuttavia, non vi è alcuna intenzione di soppiantare l’economia «sociale» di mercato, che è parte di una visione condivisa sia da Mitterrand che da Kohl, che pure provengono da tradizioni politiche diverse. L’azione pubblica e il sistema di regole devono assicurare elevati standard di benessere a tutti i cittadini, attraverso azioni perequative e interventi pubblici correttivi. È questa la base condivisa su cui l’Europa imposta la sua futura evoluzione.

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