Difendere gli interessi di Roma e dei ‘romani’ “dalle conseguenze disastrose se si ‘spalancassero le porte’ e soprattutto sul pericolo di ‘declassamento’ che rappresenterebbe per l’intera città un’immigrazione così povera e squalificata”. A tal fine, la giunta comunale “s’è sforzata di indirizzare contro questa parte della popolazione l’ostilità della borghesia romana e della stessa popolazione romana nata a Roma”. Gli avvocati del comune sostengono la legittimità delle leggi fasciste che impediscono a chi si trasferisce a Roma di ottenere la residenza.
L’assessore competente si esprime a favore delle restrizioni: se rese più favorevoli, le norme “faciliterebbero l’afflusso nella nostra città di connazionali indesiderabili”. Extracomunitari? No, connazionali. Cittadini italiani, in larga parte meridionali (ma anche veneti, emiliani dell’Appennino), che si spostano verso la capitale in cerca di prospettive e lavoro. Non è il medioevo, ma la fine degli anni cinquanta.
È il movimento incessante delle popolazioni, che va certamente regolato, ma senza restrizioni ottuse che diventano vessazioni volte a creare cittadini di serie B. Per questo vanno sostenute le proposte di legge per favorire l’ottenimento della cittadinanza con regole certe, requisiti anche stringenti, ma che non diventino brutalmente restrittive. Entro il 30 settembre si può firmare per il referendum al sito https://referendumcittadinanza.it/.