Nel 1987 entra in vigore l’Atto unico europeo che rivede il Trattato di Roma di trent’anni prima, fondando la Comunità europea, con una riforma incisiva. Si introduce una revisione del funzionamento delle istituzioni europee e un allargamento delle loro competenze. Viene rafforzata la solidarietà tra le regioni con il potenziamento dei fondi di coesione e si avvia la cooperazione in ambiti quali la ricerca e la politica ambientale.

Come alla sua fondazione negli anni cinquanta, è sulle materie economiche che si registrano i passi più rapidi verso l’integrazione. Meno convincenti, seppure con qualche passo avanti, i progressi in aree quali la sicurezza e la politica estera, che pure, dicono i proponenti, richiederebbero maggior coordinamento.

L’aggiornamento del processo decisionale non ne intacca in modo fondamentale alcuni limiti: il voto a maggioranza è introdotto solo in alcuni ambiti specifici e ben delimitati, ma nella maggior parte dei casi resta il diritto di veto per ogni Stato. Il ruolo del Parlamento, pur ampliato (con l’assunzione ufficiale del nome, dal precedente «Assemblea»), rimane ristretto.

I provvedimenti più importanti della Comunità sono tipicamente il frutto di intese raggiunte al termine di opache e spesso estenuanti negoziazioni tra i rappresentanti dei diversi governi: primi sintomi di un deficit democratico che diverrà oggetto di frequente critica da parte dei detrattori. È un tema che resta aperto oggi, nonostante ulteriori progressi negli anni successivi. Di fronte alle sfide del mondo, si richiederebbe, infine, una più decisa scelta federalista.

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