(Articolo tratto dal Libro “Il metodo Sindona – Splendore e crollo di un banchiere che si fa assassino”).
Anche la Sicilia terra americana? In questi tempi, in sui su discute su nuove annessioni, su terre che cambiano Stato, vale la pena ricordare un episodio. Durante il suo falso rapimento, nelle lunghe cene nell’afosa Palermo, come intrattiene Sindona i suoi sodali mafiosi? Espone il suo sogno di mezz’estate. Non si sa bene se ci creda davvero, se lo faccia per confondere le acque, ingraziarsi gli amici di lì, o gli strambi massoni che lo e lo ospitano in casa loro.
Il sogno è presto detto: una Sicilia indipendente, staccarsi dall’Italia, un taglio netto e via, blocco navale nello stretto, con il benestare americano. Tra le due sponde, non un ponte, ma una portaerei statunitense. Da Cosa nostra a Nazione nostra. L’idea sarà forse un po’ confusa, magari sì, un po’ velleitaria, ma per chi lo ascolta è piena di fascino, una cosa a metà tra una colonia Usa e un paradiso fiscale; al governo una santa alleanza di massoni e mafiosi. Il business model è un lucrosissimo narcostato alle porte dell’Europa. Un timing perfetto: il traffico di eroina sta vivendo un vero e proprio boom.
Ma non passa molto e i mafiosi, stanchi di nasconderlo (e Sindona i soldi persi dalle sue banche mica è riuscito a recuperarli), mormorano, si spazientiscono; la secessione, di cosa si sta parlando? Una pazzia. Uno dirà: “Sì, colpo di Stato … sa c’hi vinni a fare chisto”. I fatti suoi è venuto a fare… Non passa molto e Sindona – barba lunga e vestiti sgualciti – ricompare in una cabina telefonica di New York.
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