Il Trattato di Roma, che istituisce la Comunità economica europea, è approvato il 25 marzo 1957. In fase di approvazione, in Italia, è quasi unanime il supporto in principio.
Ma non mancano le preoccupazioni: è forte la discussione sia all’interno della Democrazia cristiana, alla guida dei governi centristi in questo periodo, che all’interno dei partiti di sinistra (all’opposizione), dove in una prima fase si opta per l’astensione.
A seguito della decisione, si specifica che non si tratta di una opposizione al federalismo europeo, ma di una diffidenza verso il ruolo, considerato preminente, degli interessi delle grandi imprese industriali; allo stesso tempo, sono numerose le voci che auspicano che i movimenti socialisti dei paesi membri possano dare slancio a un’integrazione europea con finalità sociali (del resto è proprio da personalità vicine al movimento operaio, come Altiero Spinelli, che si avviano le prime riflessioni per una Europa unita).
Le perplessità sono inizialmente condivise a livello sindacale, ma nel tempo prevale la visione di alcuni autorevoli dirigenti, tra cui Di Vittorio, che, invece, ne intravedono i vantaggi per i lavoratori. Emergono chiari due elementi: la scelta europeista è una scelta “fondativa” – come la Costituzione – che richiede, e ha ricevuto, il consenso di un ampio spettro politico.
Un’Europa “economica”, a sostegno dello sviluppo attraverso la concorrenza ed il mercato unico, non può essere disgiunta da un‘Europa sociale e dei diritti.