(Articolo tratto dal Libro “Il metodo Sindona – Splendore e crollo di un banchiere che si fa assassino”).
La mattina di venerdì 3 agosto 1979 alle 9:30 squilla il telefono dell’ufficio di Michele Sindona a New York. Risponde Xenia, la segretaria. Una voce maschile dall’inflessione italiana dice che Sindona è stato rapito. I familiari si precipitano a New York col primo volo disponibile. Poche ore dopo, Xenia apre una busta che risulta spedita da Brooklyn. Il messaggio è scritto a macchina: «Comunicato n. 1 Michele Sindona è nostro prigioniero. Dovrà rispondere alla giustizia proletaria».
La stampa riporta che il rapimento è opera di estremisti di sinistra. A un anno dal tragico rapimento Moro, che ha causato enorme cordoglio nel paese, il terrorismo colpisce ancora: e la vittima è Michele Sindona. Le prime pagine dei giornali e le Tv ne parlano diffusamente, la notizia ha ampia risonanza; ma il tono resta stranamente sommesso. Soprattutto, sono pochissimi i riferimenti a questo fantomatico gruppo terroristico, spuntato dal nulla, che opera in America con metodi tutti italiani; e lancia la sua azione proprio mentre si aggrava la posizione giudiziaria del rapito. Per dire: le autorità americane in quei giorni stanno per aprire il processo per la bancarotta della Franklin Bank; alla notizia che l’imputato Sindona è scomparso avviano immediatamente le procedure per recuperare la cauzione di 3 milioni: rapito o sparito che sia è comunque contumace.
Insomma, aleggia il dubbio. E in effetti è così. Inutile girarci intorno: il rapimento è una bufala, totalmente falso, un’invenzione del vulcanico Sindona – che nel frattempo è atterrato a Palermo ed è ospite di massoni e mafiosi. Un passo in più verso gli inferi.
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